L’orientamento per rispondere a «Chi voglio diventare?»
- Paolo Maria Ferrari
- 2 set
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 9 set

C’è una domanda che, prima o poi, arriva per tutti: “Cosa farò dopo la scuola?”
È una domanda che pesa, perché non riguarda solo il percorso di studi o un mestiere: riguarda l’identità, il futuro, l’idea stessa di chi si vuole diventare.
Eppure a volte l’orientamento a scuola viene vissuto come una corsa veloce, fatta di open day e schede da compilare. In pochi incontri ci si aspetta che ragazzi di 13 o 17 anni sappiano già avere una visione chiara. Ma la verità è che scegliere non è semplice, ed è giusto che non lo sia: orientarsi significa imparare ad ascoltare sé stessi, esplorare possibilità, cambiare idea, accettare anche l’incertezza.
Per i più giovani, quelli della scuola media, la fatica è soprattutto immaginarsi grandi: “Io? In un’azienda? In un laboratorio? In un ufficio?”. Spesso non hanno mai visto davvero come funziona il mondo del lavoro, ed è normale che facciano fatica a collegarlo a sé stessi. Qui il ruolo della scuola e della famiglia diventa fondamentale: non per decidere al posto loro, ma per costruire un’alleanza che li accompagni passo dopo passo, con pazienza e ascolto.
Per chi frequenta le scuole superiori, invece, il discorso cambia: lì il futuro inizia a bussare con più insistenza. Università, corsi professionalizzanti, prime esperienze lavorative… È il momento in cui serve una bussola. Non basta sapere “cosa mi piace”, bisogna capire come le proprie inclinazioni possano trasformarsi in un progetto di vita. Qui l’orientamento diventa un lavoro di consapevolezza: mettere a fuoco le competenze, scoprire nuovi scenari, farsi domande scomode.
La sfida è proprio questa: aiutare i ragazzi a non ridurre la scelta a un incrocio tra “cosa so fare” e “che scuola frequento”. Perché orientarsi non è solo una questione di indirizzo, ma di possibilità. Ogni percorso educativo dovrebbe aprire orizzonti, non chiuderli.
E allora l’orientamento non può essere solo un momento isolato, ma un percorso che intreccia esperienze diverse: il confronto con i docenti, l’ascolto dei genitori, la sperimentazione concreta in contesti reali, lo spazio per fermarsi a riflettere. Solo così diventa davvero un’occasione per crescere, e non un quiz a risposta multipla da compilare di fretta.






